Il voto non può essere considerato uno strumento di lotta in quanto prevede di delegare ad altri decisioni che riguardano la nostra esistenza, diventando di fatto un limite alla libertà individuale e continuando a legittimare il potere. La vera lotta sta nell’autodeterminazione e nell’auto-organizzazione dal basso, al di fuori della politica dei partiti e delle istituzioni.
Riceviamo e pubblichiamo il seguente scritto sul tema delle elezioni. Buona lettura.
Il voto è il principale strumento di controllo sociale, allineato ad altri strumenti compresi quelli “coercitivi” rientra fra i sottoprodotti di una società in cui il potere è a un tempo, politico ed economico, in cui si può essere solo produttori e consumatori, in cui la libertà di scegliere e regolarsi da sé si riduce semplicemente a una continua delega. E gli eletti, di qualunque colore e programma si presentino, in quanto detentori di un potere che dipende strettamente da altri poteri, non potranno mai fare gli interessi di chi dal potere è escluso. E non è una disfunzione e nemmeno una deriva verso il totalitarismo ma è l’essenza stessa della democrazia. La scelta di dove porre la crocetta sulla scheda o su qualsiasi pezzo di carta, quando e solo quando si è chiamati a farlo, si sostituisce alla possibilità di pensiero e di autodeterminazione. Per gli/le anarchic* non vi può essere libertà fino a quando l’individuo delega la propria esistenza indipendenza-autogestione ad altr*. Cioè si spoglia della sua alterità. Alla radice di questo pensiero di lotta, ci sono presupposti filosofici, storici, sociologici e politici. Il presupposto filosofico dell’anarchismo, o se volete la sua concezione dell’essere umano, è che, allorquando una persona è capace di intendere, ciascuno è o perlomeno va considerato, responsabile di sé. Con ciò, non vien fatto nessun apprezzamento sulla natura degli esseri umani. Kropotkin aveva sostanzialmente affermato che nel regno animale vige la solidarietà. Gli uomini di potere sono invece convinti che gli esseri umani siano belve assetate di sangue che hanno bisogno di uno stato che pone dei freni alla loro voracità. Stranamente, ritengono gli esseri umani incapaci a governarsi da sé ma capacissimi a scegliersi governanti che dovrebbero in teoria fare il bene comune. Tutto ciò a dispetto dell’evidenza che ha voluto proprio i peggiori tiranni eletti democraticamente o plebiscitariamente dal popolo.
La democrazia presenta a questo proposito un paradosso insanabile: la maggioranza dei votanti (che può pur sempre essere una minoranza di elettori) può portare democraticamente al potere il peggiore dei carnefici.
Chi non accetta questa “scelta” è considerato antidemocratico e in questo senso gli anarchici sono antidemocratici e meno male: ossia non sono disposti ad accettare nessuna imposizione solo perché dettata da una maggioranza. Naturalmente questo tratto antidemocratico attraversa in qualche maniera anche alcuni partiti democratici, poiché la battaglia contro un potere dittatoriale accomuna le più disparate fazioni in nome di un senso di giustizia.
La differenza tra gli anarchici e gli altri schieramenti politici sta nel fatto che gli anarchici non chiedono un adeguamento della legalità alla giustizia, ma la restituzione dell’autonomia decisionale all’individuo. È ovvio che alla base di questa impostazione politica v’è la necessità di fondo di rimuovere tutti gli ostacoli che spingono l’individuo a fuggire dalla propria libertà: lo sfruttamento economico, la distribuzione dei mezzi iniqua, il collasso ecologico ecc., altrimenti è chiaro che lo stato risorgerebbe immediatamente dalle sue ceneri.
Sui presupposti astensionisti dell’anarchismo: a parte i fascismi che a lungo si sono retti anche sul consenso del popolo, pensiamo agli enormi crolli di credibilità del sistema dei partiti quando mettiamo a confronto progetto (o tensione etica) e risultati.
Chi entra in parlamento o in un qualsiasi governo nel mondo ne diventa un ostaggio, anche se inizialmente spinto da idee in “buonafede”.
Chi dice che nonostante ciò la democrazia è il miglior sistema esistente, è a corto di fantasia, e soprattutto non spiega come orrori come il fascismo nel futuro non debbano ripetersi. Esistono poi dei presupposti sociologici, di cui il più noto indubbiamente è che il potere corrompe e facilmente può essere corruttibile. Ma la ricerca sociologica e psicologica del potere non si è certo fermata qui, e si è andata affinando in questi ultimi decenni con gli studi sulle personalità autoritarie (leader politici carismatici e affascinanti affabulatori), i persuasori occulti (per modo di dire) pubblicità, TV,giornali, lo stato incosciente individuale (disinteresse superficiale generale verso tutto) e la microfisica del potere (cioè far credere al comune cittadino di poter partecipare attivamente alla cosa pubblica facendogli credere di contare all’interno del sistema, come ad esempio i Referendum abrogativi, le liste civiche nei territori decentrati e disagiati o nei quartieri delle città) tanto per elencarne solo alcuni. Per fortuna non ho nessuna fiducia nella delega e ci tengo a dire nemmeno nei confronti della delega “superiore” cioè il referendum che, ovviamente, utilizza il criterio democratico della maggioranza che impone le sue volontà sulle minoranze.
Per fare degli esempi: <il referendum è normalmente riservato all’abrogazione di leggi ordinarie. Solo in caso di modifiche alla Costituzione può essere indetto un referendum costituzionale. In ambedue i casi il referendum appare orientato a proteggere l’ordinamento dello stato più che a stimolare l’innovazione dei cittadini>…<Il referendum è uno strumento di esercizio della sovranità popolare, sancita all’art. 1 della costituzione della repubblica italiana. L’esito referendario, espressione di questa sovranità, è una fonte del diritto che vincola i legislatori al rispetto della volontà del popolo.
Forme e limiti però di questa sovranità sono regolati dalla costituzione dalle successive norme che stabiliscono le procedure referendarie e le materie che assolutamente non sono sottoponibili a referendum>. (estrapolato dagli stessi esecutori di leggi). In parole semplici: il popolo non è libero di fare il referendum che desidera, è lo Stato che decide se può essere fatto oppure no.
Naturalmente, come spesso succede, mai fare notare le incongruenze delle loro affermazioni poiché vengono sonoramente ipocritamente applaudite durante i congressi degli specialisti e silenziosamente mascherate durante le votazioni. Succede così che tra un congresso di partito e una campagna elettorale non ci si accorga nemmeno più che i fenomeni sociali più rilevanti degli ultimi decenni, si sono svolti al di fuori e contro il parlamentarismo e il potere. D’altra parte, numerose sono le conferme, al di là della teoria, di quanto gli anarchici da sempre hanno sostenuto, ossia come, accanto a forme decisamente caricaturali della politica democratica come il “galoppinaggio”, in realtà anche nel sistema parlamentare la totalità delle decisioni vengono prese al di fuori dell’ambito strettamente istituzionale, in una palude tale di potere dove interagiscono lobby d’interesse, gruppi di pressione, consigli d’amministrazione, organismi formali e informali a livello nazionale o internazionale. Il problema delle votazioni politico/partitiche (la politica reale è decisamente altra cosa) è che, con ogni voto espresso, tale sistema viene ulteriormente legittimato e consolidato, per quanto possa trattarsi di voti di protesta o mossi da coscienza, allontanando quindi sempre di più la prospettiva di una svolta autogestionaria e quindi di liberazione del vivente. Ci sono poi i presupposti politici. Uno degli elementi distintivi della concezione anarchica della politica è il rifiuto della delega, vale a dire la ricerca di un sistema di gestione degli affari pubblici basato sulla responsabilità diretta dei soggetti in causa. Con questo non vuol dire che non debbano esistere “delegati”, bensì sarebbero semplicemente dei portavoce di idee e concetti precedentemente discussi, concordati e approvati da tutt# i soggetti coinvolti. Viceversa, ogni giorno, nelle decisioni parlamentari i bisogni della popolazione (o del paesaggio, o della natura, o dell’ambiente ecc…) vengono interpretati secondo logiche del tutto estranee agli interessi delle parti in causa: l’agricoltura diventa così un tema finanziario, la canapa un tema da tribunale, la qualità dell’aria merce di scambio per l’adesione alle direttive UE e tanto altro ancora, in una distorsione delirante dei bisogni che spesso non siamo neppure più in grado di leggerla. Ecco perché proprio in questi momenti, dove il teatrino del voto è presente e massificato, è doveroso porsi una riflessione al di là di tutto. In questa prospettiva, la lotta e la filosofia concreta anarchica devono, proprio per la loro struttura scardinante, svolgere un basilare contributo per una rivoluzione delegittimante che tenda a rovesciare un sistema basato totalmente sullo sfruttamento più bieco dell’essere umano, degli altri animali e della terra. Riprendiamo possesso dei nostri corpi e allontaniamo l’assurda concezione che possano esistere poteri buoni.Moloska
<Tutti i governi, anche quelli sedicenti liberatori, promisero di smantellare le fortezze erette dalla tirannia che teneva in soggezione il popolo, ma, una volta insediati, lungi dallo smantellarle, le fortificarono ancora meglio, per continuare a servirsene contro il popolo>
Carlo Cafiero