Free John Doe: Bollywood!

Inattaccabile, coerente e privo di compromessi!
Le caratteristiche che dovrebbero contraddistinguere l’antispecismo politico radicale (necessariamente liberazionista), come espresso nell’intervento tenuto dal Contagio nel corso della scorsa edizione della Festa Antispecista, dove è stata offerta una prima panoramica su quei gruppi e singolarità che contribuiscono la mercificazione e strumentalizzazione delle istante di liberazione.
A tal proposito vi proponiamo, di seguito, il contributo (ricco di riferimenti) ricevuto da BB che permette di fare chiarezza sulla natura e gli intrecci tra la giornalista Giulia Innocenzi, Nomattatoio, Essere Animali, CIWF e Free John Doe.

Autunno. Buio. Sono le due. L’aria è fredda. Dalla terra sale bianca spessa foschia.
Il muro scrostato è facile da saltare.
La grande porta di metallo è semiaperta.
Dentro, buio.
Sospiri, pianti.
Zaffate di ammoniaca e puzzo di morte.

Sulla via del ritorno cedo e fermo la macchina lungo la strada.
La disperazione mi chiude la gola.
Guardo la macchina fotografica. Nel saltare il muro, quando è scattato l’allarme, ho rotto la ghiera dell’obiettivo. Dovrò ricomprarne uno. Chissà quando.
Scorro le fotografie.
Servirà mai a nulla tutto ciò?
Mostrare quello che nessuno vuole vedere davvero porterà a qualcosa che non siano vuote promesse, ridicole leggi per gabbie arricchite o telecamere a circuito interno?
Non sono nessuno. Un occhio che guarda impotente. Una lastra di zinco su cui i prigionieri incidono le loro storie di rabbia e disperazione.
Le mie scarpe sono sporche di fango. La felpa puzza di sordo dolore.
Sarah Kite, Zoe Broughton, Michelle Rokke, PETA o Igualdad Animal. Covance, HLS, Vermont Slaughter Plant.
Decenni di investigazioni sotto copertura, video, documentazioni.

Stiamo davvero costruendo qualcosa? Facendo qualcosa? Cambiando qualcosa?
Mi vedo riflessa nello specchietto retrovisore.
Sono come quella gallina miracolosamente uscita da una delle gabbie, che pensa di essere libera e di poter finalmente uscire dall’incubo. Ma che è destinata a vagare tra le file di recluse, i cadaveri decomposti, i cumuli di feci. Fino alla morte.
Stacco.
Cambio scena.

Nasce una nuova unità investigativa, l’ennesima. Come le altre, fornita di materiale tecnico e tecnologico, e costituita da investigatori addestrati ed attrezzati.
I video di questa nuova unità investigativa, nome in codice Free John Doe, finiscono nel programma di una giornalista che sugli animali ha costruito il suo successo: Giulia Innocenzi.
Nel suo programma la giornalista ride e scherza con allevatori di visoni, chef rinomati e magnati della ristorazione, intercala le immagini agghiaccianti di allevamenti (nei quali la si vede entrare con gli investigatori, constatare sconcertata la presenza di tanti tanti topi e di tanta tanta cacca, osservare i corpi martoriati dei vivi e dei morti con distaccato stupore) con siparietti in cui si mostrano “gli animalisti”: un gruppo di incappucciati improbabili ALF (ai quali la Innocenzi dice: “ma gli animali sono sempre stati allevati”, e quelli rispondono che sì, ma non negli allevamenti intensivi. Come se fosse questo il nocciolo della questione), Vassallo e il META che fermano un camion di maiali, fanno domande idiote all’autista, chiamano i maiali bambini che danno tanti bacini, gli intramontabili 100% e i loro fumogeni.
Di fronte a simili figuri, gli “altri”, ovvero gli allevatori, i circensi, i cacciatori, i cuochi di fama internazionale, fanno la figura delle persone dabbene, posate, aperte mentalmente. Da un lato un manipolo di pazzi ignoranti esaltati, dall’altra seri professionisti, pronti al dialogo, rappresentanti dell’italica cultura fatta di eccellenze (alimentari, artistiche, della moda). In mezzo, la nostra Giulia con i suoi investigatori dai nomi in codice e le loro avventure piene di suspance.
Persino LAV avanza critiche nei confronti del programma. In un articolo pubblicato da Vegolosi la Innocenzi viene accusata di aver danneggiato l’immagine degli animalisti, ritratti come macchiette. LAV sostiene che al centro delle inchieste non siano stati messi gli animali, che sia stata data voce soprattutto a rappresentanti dell’industria dello sfruttamento e che si sia preferito chiamare la neonata Free John Doe a lavorare per le riprese (qui mi sa che rosicano perché non sono stati chiamati loro).
Un bel giorno, i nostri investigatori decidono di piazzare delle telecamere nascoste in un macello vicino Frosinone.
Il macello, piccolo, di provincia, macella mucche, vitelli, e bufalini.
Gli stessi bufalini, ironia della sorte (ma mica tanto) che la stessa Innocenzi nel suo libro “Tritacarne” spera vengano sempre più utilizzati nella dieta mediterranea, in modo da non venire ammazzati così presto ed in maniera così brutale (il capitoletto del suo libro in cui viene affermato questo si intitola “Il paradiso – a tempo – dei bufalini”; leggere per credere).
Le telecamere riprendono ciò che quotidianamente accade. Le immagini vengono rimbalzate in televisione, e il caso scoppia.
In questo video, ecco che la Innocenzi chiede di diffondere il suo appello per la chiusura di quell’unico mattatoio, anch’esso, come quello della Italcarni di Ghedi, immancabilmente etichettato come “macello degli orrori” (in quel caso la Innocenzi aveva pure lanciato una petizione, che potete leggere qui)
Ma la Innocenzi lo sa che tutti i macelli sono luoghi di inenarrabile orrore?
Gli abili ed esperti investigatori di Free John Doe, almeno loro, questo dovrebbero saperlo.
E se lo scrivono nel testo che accompagna il video dell’investigazione, in fondo, alla fine, sembrano dimenticarlo quando aiutano a far passare un messaggio che è l’esatto contrario.

E, a proposito del video, lo sapete che Andrea Scanzi (la voce narrante scelta per le immagini terribili che si susseguono) nel suo blog si definisce vegetariano, quasi vegano, e degustatore di formaggi?
Ma lo sanno la Innocenzi, Scanzi e gli abili investigatori di Free John Doe (sì, loro lo sanno, sì) che quei vitellini e quei piccoli di bufalo altro non sono che gli scarti della produzione del latte?

L’inchiesta sul mattatoio laziale permette l’entrata in scena di un altro gruppo.
NoMattatoio subito organizza un presidio sia avanti al macello che alla ASL (ove si recano la Innocenzi e Mirko Busto del M5S).
“Come si fa a regolamentare la violenza in un contenitore di violenza”, urla qualcuno lì avanti.
A questo risponde pronto Busto, che, a seguito del fatto, ha presentato interrogazione parlamentare chiedendo, tra l’altro, di adottare sistemi di videosorveglianza all’interno dei macelli, come da sua proposta di legge 4296.
Proposta che ha, guarda caso, incontrato l’appoggio entusiasta di Animal Law e CIWF: ovvero di un’associazione nata da una costola di Essere Animali e la farsa degli allevatori compassionevoli che spingono per un allevamento “etico” e rispettoso del benessere animale.

Da questa collaborazione ne nasce un’altra.
Ovvero quella tra Free John Doe e la ideatrice della campagna NoMattatoio, che diventa la portavoce del team investigativo, all’interno di un gruppo di supporto che ha come strumento una pagina facebook.
Qui viene ovviamente diffuso il video girato all’interno del mattatoio di Ferentino, ed il relativo mail bombing in cui si manifesta sorpresa per il fatto che la ASL, dopo la puntata di Animali Come Noi e la denuncia della LAV, abbia imposto limitazioni all’attività svolta, ma tra queste NON quella di NON MACELLARE ANIMALI.
Ad un mattatoio: “è inaccettabile che tra le limitazioni imposte non figuri quella di macellare gli animali, quando in realtà, stando alle immagini diffuse, sembra dover essere proprio questa pratica il principale oggetto di indagine e messa in discussione all’interno della suddetta struttura.”
Forse perché impedire la macellazione all’interno di un macello equivarrebbe a decretarne l’immediata chiusura?.
Vengono diffuse anche pillole di veganismo in puro stile mainstream ove, tra un proliferare di hashtag (#vegan #veg #freeanimals #animalrights #govegan #veganchoice #specismo #meatismurder #animalismo #animalisti #freejohndoe #veggie #veganism #animalabuse #animal #whatveganseat #veganlife #veganforanimals #truth #compassion #compassionisnotacrime), frasi fatte ad effetto con sfondo di cuccioletti (vuoi fare a cambio con la mia vita? Perché ci chiamate carne? Scegli la tenerezza!) e brevi citazioni di autori famosi ci scappa pure il riprendere notizie già date da altri gruppi, blogger e persino giornalisti ignari che lavorano e vivono dall’altra parte del mondo: come nel caso di Patrick Malborough in relazione all fuga di Manny.
Il tutto, ovviamente, senza citare fonti né approfondire alcunché, è così che un vitello che scappa da una nave trasporto bestiame diretta chissà dove diventa una mucca che scappa da un macello di Fremantle – laddove chi ha scritto il post è evidente che non ha avuto neanche la curiosità di andare a cercare cosa è Fremantle su Google – io non ve lo dico, se non lo sapete fatelo almeno voi.
Così che quel che ne risulta è un tiepido brodino di storie tutte con lo stesso finale e la stessa finalità: commuovere e raccogliere likes.
Pochi concetti semplici, pochi approfondimenti, collaborazioni con chi insiste sul benessere animale, sulla condanna degli allevamenti intensivi, sui rischi alla salute dei consumatori causati dalle cattive pratiche perpetrate negli allevamenti degli orrori e nei macelli degli orrori.

Cambio scena.

Sono quella gallina miracolosamente uscita da una delle gabbie, che guarda chi pensa sia lì a fotografarla per poter poi lottare per lei, affinché possa, presto, uscire dall’incubo. Ma che è destinata a vagare tra le file di recluse, i cadaveri decomposti, i cumuli di feci. Fino alla morte. In attesa che i piccoli passi conducano da qualche parte.