Oggi nel mondo si può incenerire con estrema facilità la biodiversità (sempre più drammaticamente fragile) e lo si fa esclusivamente per profitto (non a caso si definiscono “risorse” il saccheggio).
È possibile lasciare montagne di cenere sotto gli occhi di tutt@ e nessun@ si scandalizza.
In nome del progresso l’essere umano si trasforma in macchina e, lontano da qualsivoglia critica o responsabilità, sta trasformando il pianeta in un luogo velenoso ed estraneo. Sta inquinando, con devastante progressione: l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali, tutti gli animali.
E’ curioso osservare come l’assenza totale di interesse verso l’ecocidio sia direttamente proporzionale al piano inclinato di distruzione, al punto che è legittimo domandarsi se vi è veramente soluzione.
Come antispecisti riteniamo che questa proporzione non cambi la disposizione alla lotta di liberazione.
Non agiamo per un futuro “ecosostenibile”, termine macinato, stravolto e privo di validità ma per una visione scardinante del sistema che perpetua l’accelerazione.
Non siamo “ambientalisti”, siamo “guerrieri” per la liberazione della Terra (per guerriero intendiamo il rapporto-senso libertario del termine: guerra alla guerra).
I due termini, infatti, sono in antitesi, il primo asservito e genuflesso al dominio, cioè la causa unica del disastro, il secondo arrampicato su barricate instabili ma vitali.
Non si lotta per vincere, il mostro tritatutto non si può abbattere, si lotta semplicemente perché è il respiro stesso che lo chiede.
Il corpo, I nervi, I muscoli, le unghie lo chiedono. Si lotta perché le zampe, l’olfatto, il pelo, I denti, le corna lo chiedono.
Possono commerciare sulle nostre vite ma mai riusciranno a trascinarci lontano dalle barricate. Le navi da crociera dell’associazionismo ambiente-animalista, pirotecniche nel cercare di convincere (in giornate stanche di orgoglio celebrativo auto-referenziato) che sono loro l’unica cura, ma in realtà sono parte integrante della malattia.
Parte dell’autorità, e l’autorità lavora per conservare lo status quo.
La lotta per la liberazione animale non è un moloch granitico e impermeabile, è viceversa formato da una miriade di schegge impazzite che si muovono per minare lo status quo.
Appare evidente che in una società dove le profonde diseguaglianze (nel senso più ampio del termine) spingono gli individui ad accelerare quel sintomo esasperato costante di ribellione (in netto contrasto a una illusoria lotta omogenea dettata solo da emancipazioni personali, tornaconti da etichetta o tessere di appartenenza), smascherando in tal senso tutte le tipologie di prevaricazione in direzione di una nuova comprensione del disastro in atto. Risulta manifesto, quindi, questo “nuovo” grido di liberazione, una liberazione che per gli anarchici antispecisti: o è totale o non è liberazione.
Uno scontro in evidente contrapposizione alla filosofia conforme di una religiosa “salvaguardia” dell’habitat da parte dei colossi dell’abolizionismo associazionista.
L’antispecismo libertario è l’espressione di linguaggio (del corpo) più libera, più destabilizzante, più disposta a continui movimenti, va da sè quindi che ognuno o ognuna può declinare quello che ritiene più corretto nel suo approccio, ma questo non significa non avere ben presente la realtà.
Una realtà che non è filosofia analitica o voli pindarici per convincersi di avere ragione, è tangibile, concreta, incontrovertibile: davanti all’oppressione, all’annientamento, al dolore e al terrore, e solo in questi casi, siamo si tutt@ ugual@, umani e non.
La Terra collassa e noi con essa, cerchiamo di precipitare lottando e senza guinzaglio.
Per approfondire: La mercificazione delle istanze di liberazione (relazione del Contagio alla Festa Antispecista)